Sta Saltando l'alleanza tra capitalismo e democrazia
di Ermisio Mazzocchi
All'orizzonte si profilano nubi foriere di tempesta. La diffusione del Covid-19 ha cambiato la prospettiva del futuro.
E' acclarato che non "torneremo come prima" e dire il contrario
significherebbe non capire quanto è successo.
Un virus oscuro, che ha lacerato l'assetto
geopolitico nel mondo, che ha svelato le profonde contraddizioni dell'Italia,
che ha prodotto miseria e solitudine, pone un profondo cambiamento dei rapporti
sociali ed economici.
Una consapevolezza e percezione di questo
mutamento che non si traducono automaticamente in una visione di ricostruzione
del Paese che abbia come riferimento e orientamento una democrazia del lavoro.
Rimettere in moto un paese comporta scelte che
intervengono nella sua struttura produttiva e nei cambiamenti dei comportamenti
sociali.
Il tessuto
economico, rappresentato principalmente dal sistema impresa, si trova a essere
sottoposto ad alterazioni rispetto a quanto aveva consolidato anti-coronavirus.
Le posizione della Confindustria, espresse da
Bonomi e Stirpe, meritano una attenta considerazione perché si sono introdotti
argomenti che riportano a considerazioni tra mercato e democrazia.
Sarebbe stato
opportuna una risposta argomentata da parte di forze della sinistra a
cominciare dal PD, volta a smontare una posizione non accettabile.
Nessuno mette in discussione il ruolo dell'impresa in una economia di mercato, che non può fare a meno della democrazia, perché senza le regole dello Stato di diritto l'economia di mercato tende a degenerare, intaccando le libertà e accrescendo le disuguaglianze, arrivando a minacciare la stessa democrazia.
Le dichiarate intenzioni del mondo imprenditoriale, la Confindustria, con il suo presidente, sono totalmente da respingere, non solo per il loro linguaggio, che gli illuminati imprenditori del secondo novecento non avrebbero mai usato, ma per la loro impostazione di rifiuto nella fase di ricostruzione di perseguire e sostenere obiettivi che rientrano in un giusto equilibrio tra mercato e democrazia.
Si apre in questo modo un contenzioso che potrebbe
sfociare in conflitti sociali molto aspri.
Salta così quella
alleanza tra capitalismo e democrazia, che era stata garantita da una
legislazione liberale e fortemente condizionata dalla Costituzione italiana,
che ha permesso di assicurare un equilibrio tra libertà e uguaglianza, tra
competizione e solidarietà.
Il coronavirus ha accelerato, avendo trovato un terreno favorevole per le già pessime condizioni del paese, la crisi di quella alleanza e ha offerto l'occasione di una ripresa di un capitalismo ottocentesco, che tende a corrodere i meccanismi democratici con il pretesto del pericolo di ritorno di ideologie stataliste, cosa oggi più falsa che mai, ma sintomatico di logiche minacciose.
La globalizzazione che abbiamo conosciuto ha
impoverito la vita di milioni di persone e ha piegato il diritto al lavoro e le
garanzie del welfare a logiche speculative e finanziarie.
Gli effetti,
causati da coronavirus verso le modificazione delle regole del mercato e dei
rapporti tra gli Stati ad alto livello produttivo, saranno devastanti sul mondo
del lavoro e per la prima volta dalla fine della guerra, nelle democrazie, in
particolare quelle europee, cresceranno le disuguaglianze, economiche e nei
diritti, e l'impoverimento del tessuto sociale.
In un tempo non troppo lungo e con forze
interessate al proprio profitto, si possono innescare meccanismi che mettono a
rischi la stessa democrazia.
Aumenteranno i
drammi della disoccupazione, della precarietà, della povertà, per le quali non
si intravede una risposta adeguata e condivisa.
Paure su cui si innestano
propositi di un mercato dell'economia svincolato da obblighi di rispetto dei
diritti dei cittadini e delle aspettative di lavoro.
Se si sostiene, come dice la Confindustria, che la
ripresa post-virus è possibile se si ottengono indennizzi, rifiutando i
prestiti, da parte dello Stato, si apre uno scenario inedito del ruolo delle
imprese più orientato a una indipendenza di azione che al rispetto di impegni
assunti con il prestito, che li avrebbe ancorati a regole democratiche
richieste dallo Stato.
Si è portati a
fare leva sulle aspettative disattese dovute a una crisi profonda per minare il
campo della democrazia.
E se a ciò aggiungiamo le incertezze del mondo
globale, le paure dell'immigrazione, un perenne precariato, un massiccio
impoverimento culturale e sociale, la strada è spianata a forme di antipolitica
e di sfiducia nella democrazia, accusata di non essere capace di offrire
benessere e sicurezza.
Il passo è breve
verso culture illiberali e sovraniste.
Nuove forme di partecipazione democratica saranno
indispensabili per affrontare una sfida inedita, che metta in movimento masse
popolari per rivendicare diritti sociali, prima su tutto il lavoro.
Una sfida che
richiede una risposta che tarda a venire dalla sinistra e dai maggiori partiti
che a essa si rifanno.
Una sinistra, non con le categorie novecentesche,
che guardi ai nuovi scenari dei conflitti sociali e si faccia carico della
"nuova questione democratica".
Una sinistra, che
a oggi è assente, ed è molto carente nella sua elaborazione politica, ma senza
la quale non è possibile accettare e raggiungere l'"umanesimo
economico", liberale e solidale.
Potrà vincere la
sua battaglia se rinsalderà i suoi antichi ideali di emancipazione sociale e
sarà ferma nell'opposizione a derive conservatrici e alle nuove forme dello
sfruttamento umano.
In Italia, come in Europa, priva ancora di una sua identità sociale su basi di parità e di uguaglianza, la sinistra dovrà ritrovare il suo compito storico volto a rafforzare la democrazia con politiche di salvaguardia dei valori del lavoro, della solidarietà, della qualità della vita.
14 maggio 2020