LENIN E IL BANDITO

di Aldo Pirone

Cronache & Commenti
Il bandito non è stupido ma rimane sempre un bandito

Lenin, qualunque cosa si pensi di lui, fu un politico rivoluzionario di prima grandezza. Sebbene avvezzo a presentarsi come un teorico marxista antirevisionista fu, in quanto politico, alieno da ogni dogmatismo ideologico.

Ebbe a dire che l'essenza del marxismo era "l'analisi concreta della situazione concreta" e, quindi, sbeffeggiò chi fra i suoi compagni faceva degli avversari tutt'erba un fascio. Nel suo libretto "L'estremismo malattia infantile del comunismo" scrisse che chi, fra i comunisti, non era in grado di utilizzare, nella maniera "più diligente, accurata, attenta, abile, ogni benché minima 'incrinatura' tra i nemici [...] e anche di ogni minima possibilità di guadagnarsi un alleato numerica¬mente forte, sia pure temporaneo, incerto, incostante, infido, non incondizionato [...] non ha capito un'acca né del marxismo, né del moderno socialismo scientifico in generale". Prima, aveva ironizzato su chi non sapeva distinguere fra i "compromessi" necessari e obbligati e quelli compromissori e opportunisti con gli avversari. Nel primo caso fece l'esempio dei banditi cui, pur di liberarti della loro "piacevole compagnia" e aver salva la vita, molli la borsa, nel secondo quando ti metti d'accordo con loro per spartirti il bottino di una grassazione. Sia detto tra parentesi: la malattia infantile con cui polemizzava Lenin, tanto infantile non fu, i comunisti se la portarono appresso, purtroppo, fino all'età adulta con focolai mai spenti anche nella vecchiaia. Essa, quando fu dominante, coincise con gli anni più bui e infecondi della loro vita: i primi anni '30 del secolo scorso (socialfascismo).

Perché ho richiamato il vecchio Lenin?

Ma perché nelle ultime settimane è stato tutto un discutere su Berlusconi, le sue profferte alla maggioranza di governo, i suoi movimenti che hanno dapprima incrinato il centrodestra e i rapporti con la Meloni e Salvini per poi trascinarli ad approvare lo scostamento di Bilancio alla Camera e al Senato giovedì scorso. Del resto lo scostamento di otto miliardi era tutto a beneficio delle categorie commerciali e delle partite Iva cui il governo aveva già cominciato a fornire abbondanti "ristori" dovuti alle restrizioni adottate con l'impennata di autunno della curva epidemica. Non approvarlo sarebbe stato difficile, per il centrodestra sovranista, spiegarlo a quei cittadini e a quelle categorie di cui esso si fa quotidianamente paladino, quasi sempre a sproposito. Diciamo la verità, la vicenda ha presentato aspetti anche comici. Meloni e Salvini, per esempio, che, all'indomani del voto, dichiarano di aver piegato il governo, sembrano i classici due figuri caduti dal cavallo anti Conte dicendo che volevano scendere. Ma non è su questo che mi preme soffermarmi. Su questo terreno nei giorni scorsi aveva provveduto a infierire Marco Travaglio che ha sbertucciato Bettini, il deus ex machina di Zingaretti e del Pd, che si era subito sbrigato e sbracato nei confronti del Cavaliere "mascarato" mettendo in relazione implicitamente la necessità di raccogliere le profferte berlusconiane - chiamate niente meno che "contributi delle forze politiche consapevoli e democratiche, che sinceramente intendono dare una mano" - con l'immissione di nuove "energie migliori" nel governo. Subito seguito a ruota, ça va sans dire, da Renzi. Poi Bettini ha corretto le "relazioni pericolose" dal sen fuggite.

Travaglio, che com'è noto non è né Lenin né un suo simpatizzante, si era divertito a fare due elenchi. Il primo, delle "energie migliori" di Forza Italia: "Gasparri, Brunetta, Letta, Casellati, Gelmini, Minetti, Tremonti, Schifani, Ghedini, Longo, Lunardi, Scajola, Alfano, Mccichè, Bertolaso e Giggino 'a Purpetta, per citare solo la prima fila, possono bastare. Senza contare Dell'Utri, Previti, Verdini, Cosentino, Cuffaro, Galan e Romani purtroppo impediti a partecipare in quanto pregiudicati o addirittura detenuti, e Matacena, tristemente esule a Dubai". Il secondo, dei leader della sinistra che furono infinocchiati da Berlusconi:" D'Alema, Veltroni, Letta e Renzi".

L'esempio leniniano sui banditi rapinatori mi sembra quello più confacente a Berlusconi. Non c'è bisogno di edulcorare la figura del "delinquente abituale", di eleggerla a "sincero democratico" allo "statista ritrovato" per avere i voti di FI in Parlamento, prima e dopo averli ottenuti. E' ormai acclarato che egli ha solo una stella polare: gli interessi delle sue TV. Per esse si fa politicamente concavo e convesso, come nel 2013 quando, pur di stare al governo e sbarrare la strada a un'intesa PD-M5s con legge sul "conflitto d'interessi" al seguito, si disse disposto ad appoggiare perfino Bersani premier. L'emendamento della maggioranza governativa su Vivendì è il prezzo che è già stato pagato al grassatore. Deciderà l'Unione europea se poteva esserlo. Rifarlo diventare un padre della Patria, non solo è fuori luogo ma è nella solita demenzialità degli esponenti del PD già più volte infinocchiati. Alcuni dei quali, vedi Renzi, appartenevano alla seconda specie citata da Lenin: quelli che fanno gli accordi con i banditi per spartirsi il bottino.

A limitare il perimetro politico dell'intesa con il Cavaliere era intervenuto, prima del voto sullo scostamento di Bilancio, il ministro Gualtieri. "Come ha detto anche il leader di Forza Italia, - ha precisato il ministro - non deve trattarsi di una confusione di ruoli tra maggioranza e opposizione". Infatti, Berlusconi sa benissimo quali siano, per ora, i limiti da non superare con richieste e mosse eccessive: il doppio relatore sulla manovra di Bilancio, l'entrata nella maggioranza e nel governo ecc. Sia per quel che riguarda gli equilibri della maggioranza sia per quelli del centrodestra. Non a caso tutti e due entrati subito in fibrillazione, soprattutto il secondo, per ora.

Il bandito non è stupido ma rimane sempre un bandito.