LA SERVA

di Francesco Picca

Figlio di una umile e numerosa famiglia della provincia aretina, alfiere della giustizia sociale cattolica, spaventato a morte dal liberismo e dal socialismo, sostenitore del corporativismo fascista, convinto purista della razza. Si rifugiò in Svizzera dopo l'8 settembre del 1943 e rimise piede in terra natia su invito dell'amico Dossetti per curare la propaganda della Democrazia Cristiana. Poi, per mezzo secolo, non è mai più uscito dal cono di luce della politica che conta. È questa la sintesi biografica estrema e sicuramente ingenerosa di Amintore Fanfani. In questi giorni è rimbalzata una sua frase del 1974, pronunciata a Caltanissetta a margine di un comizio della campagna per il referendum sul divorzio. Una oratoria asciutta e lapidaria regalò alla platea queste parole: "Volete il divorzio? Allora dovete sapere che dopo verrà l'aborto. E dopo ancora, il matrimonio tra omosessuali. E magari vostra moglie vi lascerà per scappare con la serva". La levata di scudi è stata immediata, poderosa. Migliaia di commenti hanno invaso la rete pescando a piene mani nel bagaglio evolutivo di una società illusoriamente ex-democristiana e ancora profondamente piccolo borghese. Fanfani borghese non era, eppure quello status lo aveva raggiunto, e ancor prima lo aveva forse intimamente anelato. Poi lo aveva scavalcato e di gran lunga superato accreditandosi al capitolo post bellico dell'epoca moderna come un uomo politico quasi irrinunciabile per indicare e identificare il nuovo corso. Della frase incriminata, cui va onestamente riconosciuta una lungimiranza cristallina, ho letto analisi approfondite che hanno passato in rassegna l'oratore bigotto, il maschio misogino, l'uomo intollerante rispetto alla diversità; persino il marito maldestro che, preso dall'irrinunciabile e dissacrante sarcasmo toscano, non riesce a cogliere il duplice disonore dell'esser tradito da una donna per mano di un'altra donna. Non ho ancora letto, almeno sino ad ora, una riflessione sull'ultima parola riportata in quella frase. La parola "serva" è clamorosamente sfuggita al moto generalizzato di postuma indignazione. La parola "serva" e scivolata sotto la tavola imbandita della sommossa civica organizzata fuori tempo massimo. Eppure, la parola "serva", ci dà l'esatta misura e il peso preciso dell'uomo borghese che, nella sua affannosa scalata sociale, ha conquistato vette inimmaginabili. L'uomo che ha messo in fila l'istruzione alta, l'abito sartoriale, la cucina moderna, il telefono, il magnetofono, l'apparecchio televisivo, l'automobile e persino la serva. Il piccolo uomo reso grande dalla casualità degli accadimenti che ha tuttavia tralasciato di curare un avanzamento del proprio lessico e, prima ancora, ha rinunciato a migliorare la percezione di sé stesso e degli altri, bloccato in uno schema sociale subdolamente violento, sicuramente retrogrado e iniquo. Il piccolo borghese ancora avvinghiato a quel concetto di servitù, avamposto del servilismo, che si vuol far passare come una consuetudine, come un fatto di costume, come un fattore sociale normale e normalizzante. Il problema, oggi, non è dato certo dal vetero democristiano che pronunciava queste parole impugnando la scure del perbenismo e dell'utilità politica; il problema sono quanti, ancora oggi, sfuggono distrattamente al rumore sordo di quell'ultima parola.