INTERVISTE FANTASMA

di Giorgio Moio

HANNAH ARENDT

- Ho letto due volte il suo La banalità del male, ma non ho ancora

capito perché ha definito radicale la banalità del male.

Quel che ora penso veramente è che il male non è mai "radicale",

ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione

demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero,

perché si espande sulla superficie come un fungo. Esso "sfida" come

ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità,

di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è

frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua "banalità". Solo il

bene è profondo e può essere radicale.

- Ho sempre pensato e agito con la convinzione che ogni azione debba

tentare di rendere possibile l'impossibile. Ma leggendo Le origini del totalitarismo

la mia convinzione incomincia a mostrare delle crepe; già ne

aveva tante; comunque, una in più o una in meno cambia poco. Allora è un

problema di comunicazione?

Quando l'impossibile è stato reso possibile, è diventato il male

assoluto, impunibile e imperdonabile, che non poteva più essere compreso

e spiegato coi malvagi motivi dell'interesse egoistico, dell'avidità,

dell'invidia, del risentimento; e che quindi la collera non poteva

vendicare, la carità sopportare, l'amicizia perdonare, la legge punire.

- Allora sto sbagliando tutto. Quindi, secondo lei le possibilità umane

sono un danno, no una soluzione.

Finora la convinzione che tutto sia possibile sembra aver provato

soltanto che tutto può essere distrutto. Ma nel loro sforzo di tradurla

in pratica, i regimi totalitari hanno scoperto, senza saperlo, che ci

sono crimini che gli uomini non possono né punire né perdonare.

- Lei parla così perché è una donna piena di rancore, che non ha amato

nessuno tranne gli studi filosofici.

Ha perfettamente ragione. Non sono animata da alcun amore di

questo genere, e ciò per una ragione: nella mia vita non ho mai amato

nessun popolo o collettività, né il popolo tedesco, né quello francese,

né quello americano, né la classe operaia, né nulla di questo

genere.

Io amo solo i miei amici, e la sola specie d'amore che conosco e in

cui credo è l'amore per le persone.

- Oggi viviamo in una società dove il significato è dato dal totalitarismo

economico imposto da pochi nei confronti di molti, costringendo ad una

vita precaria. In La disobbedienza civile e altri saggi lei ritiene che la

disobbedienza civile sia il rimedio migliore contro l'impotenza dei controlli

governativi. Ci può spiegare meglio questo concetto?

La nostra ricerca di significato è ad un tempo stimolata e frustrata

dalla nostra incapacità di creare significato. Per coloro che hanno

a cuore la ricerca del significato e della comprensione ciò che è

sorprendente nel sorgere del totalitarismo non è che esso sia qualcosa

di nuovo, ma che esso abbia portato alla luce la rovina delle nostre

categorie di pensiero e dei nostri criteri di giudizio.

- Qual è il maggior paradosso della realtà odierna?

Il paradosso della situazione moderna sembra consistere nel fatto

che il nostro bisogno di trascendere la comprensione preliminare e

l'approccio prettamente scientifico nasca dalla perdita degli strumenti

di comprensione.

- Lei sostiene che la novità è il regno dello storia. Perché?

Perché a differenza di quello dello scienziato, che fa riferimento

ad ogni evento ricorrente, occupandosi di eventi che capitano una

sola volta, la storia non ha fine. Solo quando è accaduto qualcosa di

irrevocabile possiamo tentare di tracciarne la storia: l'evento illumina

il suo passato ma non può mai essere dedotto da esso. È compito

dello storico scoprire in ogni periodo dato l'imprevisto ed il nuovo

con tutte le sue implicazioni e scoprire il pieno potere del suo significato.

E la Storia è una storia che ha molti inizi ma nessuna fine.

- Ne La banalità del male ha analizzato i modi in cui la facoltà di

pensare può evitare le azioni malvagie. Vuol dire che gli intellettuali sono

avulsi dalle azioni malvagie? In che modo, se c'è un modo?

Prendiamo ad esempio le atrocità dei nazisti, nella fattispecie quelle

del tenente colonnello che al processo del 1962 in Israele, tentò di

difendersi con una laconica espressione. Disse che in fondo lui si

era occupato soltanto di trasporto, coordinatore dei trasporti degli

ebrei verso i campi di concentramento e di sterminio. Non vi è dubbio

alcuno che quelle azioni furono mostruose, ma chi le fece era pressoché

normale, né demoniaco né mostruoso. Insomma di un uomo

comune, incapace di pensare sotto la pressione degli ordini superiori.

E sotto l'influenza dell'hostis humani generis (i nemici del genere

umano), commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli impediscono

di accorgersi o di sentire che agisce male.

- Quindi la tradizionale conoscenza del male va a scontrarsi con la sua

affermazione, cioè se la dimensione di male sia o no una condizione necessaria

per arrivare a fare del male. Dunque parliamo di male assoluto che

non può essere a lungo spiegato e capito con malvagie ragioni di egoismo,

avidità, bramosia, risentimento, sete di potere e codardia. Vuole dire che

siamo succubi del male, a prescindere?

Al contrario! La mia opinione è che il male non è mai "radicale",

ma soltanto estremo, e che non possegga né la profondità né una

dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare tutto il mondo

perché cresce in superficie come un fungo. Esso sfida come ho detto,

il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità,

andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato

perché non trova nulla. Questa è la sua "banalità". Solo il bene ha

profondità e può essere integrale.

- Passiamo ad altro. Oggi, con una politica che mostra i muscoli solo

contro i più deboli, pare che stia montando una disobbedienza civile. Ricordo

che, quando lessi il suo La disobbedienza civile e altri saggi, mi

rimase impresso il nucleo del discorso, cioè il rimando all'obbligo politico e

alla partecipazione con azioni innovative e rivoluzionarie. Due azioni che

oggi sembrano sparite dalla società.

Perché manca l'associazionismo volontario, cioè una partecipazione

attiva alla vita sociale tra consenso e contestazione, il rimedio

tipicamente americano al fallimento istituzionale, all'impossibilità di

fare affidamento sugli uomini e alle incertezze dell'avvenire. La politica

ha istituito un processo di auto-comprensione per la ricerca di

un significato delle sue azioni al limite del totalitarismo perché la

gente è abituata a non prendere mai decisioni, li abitua ad accettare

immediatamente qualunque regola di condotta vigente in un dato tempo

e in una data società.

- Dunque le società sono diventate delle convenzioni? Ritorniamo al

discorso del pensiero pericoloso del male: non dovremmo aspettarci dall'attività

di pensiero alcuna proposizione o comando morale, alcun codice

definitivo di condotta, e meno che mai una definizione nuova e

dogmaticamente asserita di ciò che sia bene o male?

Se è vero che il pensiero ha a che fare con degli invisibili, ne

segue che è fuori dalla norma, perché normalmente siamo in un mondo

d'apparenza nel quale l'esperienza più radicale della disapparenza

è la morte. Si è sempre ritenuto che il dono di occuparsi di cose

che non appaiono richiedesse un prezzo, cioè rendesse cieco il

pensatore o il poeta nei riguardi del mondo visibile. Non ci sono

pensieri pericolosi, ma è il pensiero in sé ad essere pericoloso, anche

se il nichilismo non è un suo prodotto. Esso non è che l'altro lato del

convenzionalismo; il suo credo consiste nella negazione dei valori

correnti, cosiddetti positivi, a cui rimane legato. Anche il non pensare,

che sembra essere una situazione tanto raccomandabile in campo

politico e morale, comporta i suoi rischi.

- Mi sta dicendo che ognuno vuole fare del bene ma per circostanze ad

essi ignote non ci riesce, almeno non come vorrebbe?

Posto che la collera non può vendicare, la carità sopportare, l'amicizia

perdonare, la legge punire, nessuno fa il male volontariamente.

- D'accordo, ma il male è radicato e si espande sempre di più. Dunque,

la realtà non può portare niente di nuovo perché la riflessione ha già

anticipato tutto. Ma questo non è bello!

Ciò che appare paradossale di ogni cosa che viene semplicemente

definita bella è il fatto che appaia.

Allora siamo solo apparenza. Che bella vita ci attende!