INTERVISTE FANTASMA

di Giorgio Moio

SAMUEL BECKETT

- La sua opera maggiore, a detta di tutti, è Aspettando Godot. Quale

messaggio porta in sé il linguaggio adottato?

Non riproduce più la rappresentazione individuale, perché non

esiste legame tra parola e azione, tra linguaggio e storia, recitazione

e realtà. Non esprime più una comunicabilità perché ha smesso di

significare, e si ritorce su se stesso fino al puro gusto narcisistico.

- Perché il tempo sembra immobile e la società narcisistica?

Il tempo scorre nel momento che i protagonisti si muovono sulla

scena e fanno gesti, anche se essenziali e ripetitivi. C'è silenzio, ma a

volte si ride a volte si pensa, aspettando Godot, e in questo passaggio

il tempo scorre.

- Nelle tradizioni popolari il termine Aspettando Godot è divenuto

sinonimo di un qualcosa che sembra imminente ma che non si palesa mai.

Il sole risplende ma non lo possiamo toccare e siamo contenti lo

stesso perché perdere tempo è un alibi che ci fa comodo. E che facciamo,

ora che siamo contenti? Aspettiamo qualcosa che non arriverà

mai.

- Ma è un fallimento?

Appunto. Ma cosa vuol dire fallimento? Io per es. ho sempre tentato

di trovarla la contentezza e ho sempre fallito. Ho cercato di discutere

ma più delle volte non ho trovato adeguato interlocutore. Ho

provato, ho provato ancora. Ho fallito, ho fallito ancora. Ma ho fallito

meglio di chi si accontenta.

- Cosa può dire ai giovani che credono che la società sia una loro

"nemica", che la società non può essere migliorata?

È come dire: dove sono? Non lo so. Ma non lo saprò mai se non

mi metto a cercare la via. Nel silenzio e nella rassegnazione non lo

saprò mai, per ciò si deve andare avanti, anche se non puoi avanzare,

ma devi andare. Da un punto di vista non hanno tutti i torti i

giovani d'oggi: continuiamo a non preoccuparci di cambiare, di proporre

alternative all'appiattimento socio-economico. Se lo facciamo

e perché non possiamo sopportare di annoiarci.

- Cosa pensa di questa nostra epoca?

Non diciamo male della nostra epoca, non è più disgraziata delle

altre. Non ne diciamo neanche bene: non ne parliamo! Aristotele ci

dice che chi è incapace di vivere in società o è sufficiente a se stesso

dev'essere una bestia o un dio. Il che sta a significare che si vive con

incapacità e impotenza.

- A volte le cose incomprensibili sono le più chiare di tutte, ma non

abbiamo occhi per accorgercene.

È parlare di cose incomprensibili.

D'accordo. Ma nell'arte, non nella vita!

Ed è per questo che mi piace il teatro dell'assurdo. Nelson

Goodman ci dice che la struttura del mondo dipende dai modi in cui

lo consideriamo, e da ciò che facciamo. E ciò che facciamo, in quanto

esseri umani, è parlare e pensare, costruire, agire e interagire.

Noi costituiamo i nostri mondi costruendoli. Ma li abbiamo costruiti

male dove si vive con incapacità e impotenza.

- Mi sembra una società votata solo all'infelicità.

Montale diceva che l'uomo coltiva la propria infelicità per avere

il gusto di combatterla a piccole dosi. Quindi, non c'è niente di più

comico dell'infelicità.

- Allora un uomo infelice è stupido?

Cioran dice che la felicità spinge al suicidio quanto l'infelicità;

anzi, ancora di più perché amorfa, improbabile; esige uno sforzo di

adattamento estenuante, mentre l'infelicità offre almeno la sicurezza

e il rigore del rito.

- Ma Cioran era un pazzo!

Può darsi, ma si preoccupava di cambiare lo stato delle cose perché

non poteva sopportare di annoiarsi.

- Cosa vuol dire questo?

Si nasce tutti pazzi, alcuni lo restano.

- Lei parla spesso di silenzio dell'assurdo per ascoltare le voci che le

parole coprono. Allora l'arte deve essere silenzio? Così non c'è il rischio

che tutto si assomigli?

Tutte le arti si assomigliano: sono un tentativo per riempire gli

spazi vuoti, che restano sempre vuoti.