IL NUOVO LIBRO DI MICHELE FIANCO: DELICATISIMO

di Francesco Muzzioli

Dopo aver pubblicato lo scorso anno con Aragno Un semplicissimo universo inespanso, che era il consuntivo del suo percorso poetico fino allora, rappresentato per testi esemplari, Michele Fianco ha dato alle stampe da pochissimo un nuovo libro, Delicatisimo, che vuole essere un'opera di ripartenza e di svolta. Già caratterizzato com'è da una forte originalità, Fianco prova a sperimentale una nuova "confezione", basata su un sotterraneo modello cinematografico. Infatti il libro appena edito da Zona è presentato fin dalla copertina come un film di cui l'autore è il regista (sul frontespizio è scritto «directed by») ed è presente all'interno anche come personaggio con il suo proprio nome. Troppo facile attribuire allora al testo una matrice autobiografica e volervi andare a trovare i corrispettivi esistenziali o sentimentali. Con Fianco bisogna fare molta attenzione: il titolo stesso potrebbe riferirsi a questioni di cuore e sottili patemi, senonché proprio la sottrazione di una "s" al superlativo ‒ visto che, in qualunque modo lo si interpreti, non si tratta di un refuso ‒ sembra precisamente abbassare o comunque sfumare la "delicatezza" degli eventuali contenuti personali.

Un aspetto che mi ha colpito fin dalla prima lettura è la fluttuazione della persona verbale, che oscilla dalla prima alla seconda e alla terza. Si potrebbero intendere le diverse declinazioni come se fossero inquadrature: quella più da lontano è realizzata dalla terza persona («lo avevano reso invece uno che si volta a salutare, sempre»); un piano medio si riscontra quando ci si rivolge al tu con la seconda persona («ne ascolti il respiro / talvolta lo capti»); mentre il primo piano corrisponderebbe al comparire dell'io che parla direttamente («Io mi fermo / rientro alla solita ora»). C'è poi, già nelle prime battute, la presenza di un "manuale" che si scopre essere un introvabile manuale di vita (un «Manuale per l'uomo diffuso», si legge poi): ecco, queste istruzioni esterne potrebbero essere l'equivalente di una sporadica voce fuori campo.
Il riferimento cinematografico suggerisce proiezioni e come tali si presentano quei personaggi e presunti collaboratori che altro non sono che alter ego o eteronimi dell'autore. La stessa realtà è virata su uno schermo; dice il testo: «Fuori, nel mondo, / sembra alimentarsi una messa in scena, invece». Per di più, in omaggio al paese principale dell'industria cinematografica, il testo è ambientato in una Pretown, generica città virtuale; ed esibisce passo per passo dei brani in inglese, quasi con funzione di sottotitoli di un progetto da esportazione.
Ma credo che il punto nodale del rapporto scrittura-cinema sia un altro e si trovi a livello strutturale. È come se, secondo le indicazioni di Benjamin sulla modernità, la forma-di-cinema si imprimesse per così dire sulla scrittura. E producesse in particolare un effetto di frammentazione e di montaggio. Questo effetto è forte nelle frasi lasciate nel bel mezzo (esempio: «la guerra era aperta da tempo, a partire da, / almeno»), ma funziona in tutto il testo che procede per brani brevi e con larghi spazi inutilizzati, veri abissi tra un segmento e l'altro. La novità di quest'opera ‒ che non è una raccolta, ma un insieme percorso da un progetto coerente, questo va detto ‒ sta nel suo mantenersi in equidistanza tra verso e prosa. L'impostazione è quella del verso, ma il risultato è quello della prosa. Non c'è, non dico rima, ma neppure ombra di metrica e anche le riprese anaforiche sono molto rare. Semmai, l'unica scansione è nella differenza tra versi molto lunghi, che nella stampa debordano oltre il loro rigo e versi brevi e brevissimi. Ne do un esempio, però senza andare a capo (tanto poi a ciascuno il testo si deformerebbe a seconda del proprio schermo) e usando la trascrizione con le barre:

Un punto di vacanza non significa viaggi, il mare, no. / Il giorno dopo giorno, un'ora o due di svuotamento, / ovvero l'esatto sistema - / si dice - / di guadagnare soldi. / E la cosa - / se pensi a lui, se vedi lui - / non può che far ridere. / La fascinazione del particolare improvviso, laterale, che distrae, // fa il resto. / E si va avanti.

E si veda anche questo brano dal tono impersonale:

E ancora: / l'isolamento involontario nel momento in cui ti assecondi, / anche questo. / L'alba, il pranzo presto, riposo un attimo, / e via alla seconda giornata. / L'anticipata partenza un principio economico, / e biografico. / Raddoppi, perfetto.

Fianco non perde il ritmo, anche se magari qui il ritmo è quello del succedersi dei frammenti, della loro diversa ampiezza e dei materiali che veicolano. Delicatisimo procede per "istantanee". E se vi si possono riscontrare dei fili tematici (l'età che avanza, una storia di anni prima, ecc.) che conducono verso il bilancio dell'esperienza («cosa deve riservarti ancora la vita per farsi capire da te?»), piuttosto che il contenuto conta di volta in volta l'"angolatura". La poetica di Michele Fianco è una poetica della reticenza; ma questo non per pudore e neppure per malevolenza verso il lettore indiscreto che guarda dal buco della serratura goloso di emozione. A me pare che l'obiettivo sia quello di liberare la poesia dall'ancoraggio dell'evento centrale perché possa sprigionare tutto il pulviscolo atomico "marginale", altrimenti inutilizzato. In ciò non chiede tanto la partecipazione, quanto piuttosto l'"attenzione"; perché il lettore è chiamato a interagire con una trama davvero delicatissima.