INTERVISTE FANTASMA

SIBILLA ALERAMO

Giorgio Moio

- Lei è conosciuta soprattutto per i suoi numerosi amori (Cena, Cardarelli,

Boccioni, Cascella, Boine, Campana, Papini, Quasimodo, Matacotta) e

per il romanzo Una donna dove si affronta il tema della condizione femminile

nell'Italia dei primi anni del '900, portando la sua testimonianza sulla

difficoltà di farsi accettare dalla società come donna e non solo come

moglie o madre di qualcuno. Quando nasce il suo impegno femminista?

Un fatto di cronaca mi indusse un giorno di scrivere un articoletto

e mandarlo a un giornale di Roma che lo pubblicò. Era in quello

scritto la parola femminismo, e quella parola, dal suono così aspro,

mi indicò un ideale nuovo, che io cominciavo ad amare come qualcosa

migliore di me. Dacché avevo letto uno studio sul movimento femminile

in Inghilterra e in Scandinavia, queste riflessioni si svilupparono

nel mio cervello con insistenza. Avevo provato subito una simpatia

per quelle creature esasperate che protestavano in nome della

dignità di tutte, sino a recidere in sé i più profondi istinti: l'amore la

maternità la grazia. Sempre più il mio pensiero cadeva sulla parola

emancipazione, che ricordavo di avere sentito nella mia infanzia, da

mio padre seriamente, ma poi sempre con derisione da ogni classe di

uomini e di donne.

- Come mai dopo qualche tempo decise di distaccarsi dal movimento

femminista?

Ormai lo giudicavo una breve avventura, eroica all'inizio, grottesca

sul finire; un'avventura da adolescenti, inevitabile ed ormai superata.

Ma proseguii il mio impegno civile una volta iscrittami al

PCI.

- Cosa le rimane delle partecipazioni a manifestazioni per il diritto di

voto, per la lotta contro la prostituzione?

L'affermazione di una vita libera e consapevole in contrapposizione

alla costrizione e all'umiliazione dell'esistenza che un'ipocrita

ideologia del sacrificio intende imporre alle donne.

- Qualcuno l'ha definita "mangiatrice" di uomini. Ma per una donna

che ha collezionato un considerevole numero di amanti, che cos'è l'amore?

L'amore è una fusione assoluta, al di sopra di ogni differenza: è il

miracolo che di due esseri complementari fa un solo essere armonioso.

Non so se sono stata donna, non so se sono stata spirito. Son

stata amore. Tutto questo, sì, è un compito immenso, eppure non è

che la superficie: bisogna riformare la coscienza dell'uomo, creare

quella della donna! Ogni selvaggio istinto, ogni violenza di desiderio

e anche ogni superbia di pensiero, naufragava in quella semplice ma

infinita e perfetta affermazione d'amore. L'amore fu la ragione della

mia esistenza e quella del mondo. Amo, dunque sono.

- Lei si è battuta per tutta la vita in favore dei diritti delle donne, rivalutando

la loro partecipazione alla vita sociale, ne più ne meno di un uomo. È

riuscita a realizzare la sua missione dando dignità e diritti paritari alle donne?

Come si può diventare donna se i parenti la danno, ignara, debole,

incompleta, a un uomo che non la riceve come sua eguale; l'usa

come un oggetto di proprietà; le dà dei figli coi quali l'abbandona

sola, mentr'egli compie i suoi doveri sociali, affinché continui a

baloccarsi come nell'infanzia? Per questo dico alle donne: ribellatevi

ai soprusi, ai maltrattamenti, riconquistate la vostra dignità di donne,

di madri, di figlie, di sorelle.

- Cosa resta di quella donna forte ma infelice?

Le rispondo con una mia poesia, Guardo i miei occhi: «Guardo i

miei occhi cavi d'ombra / e i solchi sottili sulle mie tempie, / guardo, e

sei tu, mio povero stanco volto, / così a lungo battuto dal tempo? / Mi

grava l'ombra d'un occulto sogno. / Ah, che un ultimo fiore in me

s'esprima! / Come un'opaca pietra / non voglio morire fasciata di

tenebra, / ma d'un tratto, dalla radice fonda, / alzare un canto alla

ultima mia sera».

- Cosa l'ha tormentata nella sua vita?

Ho dato tutto me stessa alla poesia ma la poesia spesso mi ha

abbandonata al mio destino. Ho fatto molto anche per la questione

femminile con le amiche Fausta Cialiente, Natalia Ginzburg, Alba de

Cespedes, Anna Banti, Ada Gobbetti, Elsa Morante e Camilla Ravera,

ma ho raccolto molto poco rispetto a quanto penso di valere. Ho

dovuto difendermi dalle critiche negative che mi etichettavano soprattutto

come l'amante di molti letterati e che grazie a loro sono

riuscita a ritagliarmi un ruolo importante nella cultura italiana. Quanto

è meschina certa gente! Il mio più grande tormento è essere condannata

a sparire senza che nessuno possa veramente tramandare

la mia essenza nonostante tutte le parole che ho scritto e detto, nonostante

tutto l'amore illimitato che ho nutrito per i singoli, per l'umanità

e la poesia. La solitudine, invece, mi spaventa, anche se siamo

state sempre buone compagne.

- Se può consolarla, siamo in due a pensarla in questo modo. Una

donna è forse il suo libro più noto, ma secondo lei qual è l'opera che più di

altre la connota?

Endimione. Un poema drammatico dedicato ad uno dei miei amori

che durò fino alla sua morte, nel 1922. Quando lo rileggo gli occhi

mi si riempiono di pianto: è pura poesia! In nessun'altra mia opera vi

è tanta purezza d'animo. È il vivere nell'alone della morte che trae

alla luce la mia essenza più alta. Vivevo a Napoli (ci ho vissuto dal

1920 al 1922), e nell'allucinata visione del golfo, la libertà da ogni

cruccio materiale mi permise (e fu l'unica volta) la trasfigurazione

fantastica della mia vicenda intima. Spesso mi assale un'ondata di

più cupa tristezza. Nessuno a cui poter dirla, nessuno che possa tentare

di confortarmi, tentare almeno. In tutto il mondo, nessuno.

- Uno dei poeti che ha amato (poeticamente parlando, s'intende) è

stato il poeta francese Paul Eluard (le confesso che è anche uno dei miei

preferiti). Come ha conosciuto Eluard?

La prima volta fu a Roma, nella primavera del 1946, quando venne

a leggere le sue poesie, presentato da Ranuccio Bianchi Bandinelli.

Allora, del poeta francese conoscevo soltanto Liberté. Scandiva le

sue poesie con mirabile intensità. Io ero seduta accanto a Palmiro

Togliatti, anche lui attento ad ascoltare quei versi, che erano e saranno

affermazioni di felicità, come scrisse un giorno Aragon, di

fraternità, un impeto sovrumano di gioia per la vita, d'amore per la

vita di tutta l'umanità. Oggi è proprio questo quello che manca: l'amore

per la vita e per l'umanità.

- Cosa si aspetta dal futuro?

Poeticamente parlando, mi piacerebbe rispondere alla sua domanda

con la mia piccola lirica Ironica e pallida: «Ironica e pallida /

da un cielo bianco, d'inverno / la luna mi guarda, / è quasi sera, / io

sono tanto stanca / e povera come la più povera... / Mendicare ancora,

perché? / Son sola e senza più giovinezza, / S'irride ai miei canti

/ e pallida e di pietra, / come da un cielo d'inverno, / la vita mi guarda,

/ è quasi sera...». Ritornando con i piedi per terra, infrantomi il

sogno di vedere un'Europa comunista sin dalla mia iscrizione al PCI,

mi aspetto un mondo non soltanto senza più guerre né odii, ma di

intima pace per tutti i cuori. Intenti, i cuori, a creazioni meravigliose,

emule delle stelle e delle rose, senza affanno, senza fretta, fra lunghe

sognanti pause, lunghi colloqui senza parole con lo spirito dell'universo.

Questo nostro tormento, questa nostra solitudine, questa nostra

esistenza da caverna, questo nostro tragico balbettio, questi

smarriti sguardi nel vuoto, questo brancolare impotente o un raro

lampeggiare di grazia quale appare sul volto d'un neonato, lasceremo

in eredità alle generazioni future