La ricostruzione possibile.

Il virus dell’innovazione

e le chance dell’Italia

Alberto Improda

 da https://www.linkiesta.it/2020/10/il-virus-dellinnovazione-alberto-improda/amp/

Nel suo ultimo libro, edito da Entroterra, Alberto Improda spiega come il Covid-19 abbia accelerando cambiamenti che fino a pochi mesi fa si stavano soltanto profilando all'orizzonte. Ma il nostro Paese, con il suo tessuto imprenditoriale, ha le potenzialità per affrontare le nuove sfide

Pubblichiamo una anticipazione de "Il virus dell'innovazione" di Alberto Improda (Edizioni Entroterra).

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Il 2020 resterà un anno che difficilmente dimenticheremo.

Segnerà per sempre il momento in cui il Coronavirus è entrato nelle nostre città, nelle nostre aziende, nelle nostre vite.

Il Covid 19 non rappresenta soltanto un nemico per la nostra salute, una minaccia per la nostra società, un problema per le nostre economie.

Il Virus sta fungendo anche da elemento catalizzatore e acceleratore del cambiamento, rendendo immediati e manifesti fenomeni che fino a pochi mesi addietro si stavano soltanto profilando all'orizzonte.

Difficoltà che si andavano prefigurando in modo ancora graduale e indefinito, di colpo sono apparse in tutta la loro gravità e nitidezza; problemi che si pensava di dover gestire nell'arco dei prossimi lustri, improvvisamente sono diventati nodi da sciogliere nell'arco di poche settimane.

A prescindere dagli sviluppi e dagli esiti che l'epidemia avrà dal punto di vista medico, l'impronta che il Covid 19 lascerà sul mondo sarà indelebile.

Tanto dal punto di vista sociale quanto sul piano economico, tanto in sede politica quanto in ambito aziendale, nulla sarà come prima: il Coronavirus ha di colpo tramutato il domani nell'oggi, il futuro nel presente.

Siamo così tutti chiamati con urgenza ad uno sforzo di riflessione, di studio, di iniziativa, per costruire - nei suoi diversi aspetti - la realtà post Covid 19.

È diventata ormai un luogo comune l'affermazione che ogni crisi rappresenta anche una opportunità di crescita.

Sempre più spesso si legge una citazione attribuita ad Albert Einstein: «La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall'angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato».

I lutti, il dolore, le difficoltà, le preoccupazioni, le paure di questi mesi, per il mio personale sentire, portano ad avvertire in questo genere di frasi qualcosa di improprio, di sbagliato, di stonato.

Ciò non di meno, indiscutibilmente oggi il Coronavirus ci costringe a - e, per qualche verso, ci consente di - progettare qualcosa di nuovo e di diverso.

Siamo tutti chiamati ad una sfida difficile, angosciante, in qualche modo entusiasmante, che richiede di contemperare dinamiche astrattamente contrastanti: da un lato, la necessità di trovare risposte valide a problemi gravi in tempi brevi; dall'altro lato, l'esigenza di individuare soluzioni davvero innovative e realmente divergenti dagli schemi del passato.

L'auspicio è che la tragedia che stiamo attraversando, con il suo carico di lutti e di paure, porti con sé e diffonda anche una maggiore consapevolezza delle straordinarie peculiarità e delle irripetibili potenzialità del Paese nel quale viviamo.

Perché se c'è un Paese che ha le forze, le caratteristiche ed i mezzi per resistere alla tempesta in corso e uscirne più forte, facendo poi rotta verso un domani migliore, quello è l'Italia.

Il Coronavirus, abbiamo detto, funge da elemento catalizzatore e acceleratore del cambiamento, ci spinge e ci costringe in ogni ambito all'Innovazione, all'evoluzione, al superamento dei modelli esistenti.

E l'Innovazione della quale la società ha urgente ed assoluto bisogno presenta caratteristiche peculiari, che in qualche modo la differenziano dai processi innovativi del passato, dagli schemi che ci erano abituali.

L'Innovazione odierna bisogna che sia Aperta e Condivisa, tale da svolgere la sua storica funzione di conferire all'azienda promotrice o al soggetto sviluppatore un vantaggio competitivo, ma al tempo stesso atta ad essere resa fruibile dalla collettività nel suo complesso, per lo sviluppo ed il progresso dell'intera comunità.

L'Innovazione, poi, oggi non può che muoversi nell'orizzonte della Sostenibilità Ambientale, Economica e Sociale, promuovendo e sviluppando il fenomeno dell'Economia Circolare.

Una fenomeno di cambiamento così importante e ampio come quello che stiamo prefigurando, naturalmente, vede il mondo delle aziende con un ruolo di protagonista assoluto.

Ma l'Impresa a sua volta è chiamata ad una evoluzione importante, ad assumere nella società funzioni per qualche verso di natura pubblica, che portano a compimento e vanno oltre il tradizionale concetto di Corporate Social Responsability.

Il rapporto tra Impresa e Bene Comune, tra Azienda e Collettività è da sempre fonte di discussioni e di contrasti.

Ricordiamo, per dire quanto da lontano siamo partiti, una celebre vicenda verificatasi negli Stati Uniti ad inizio Novecento, che ha visto coinvolti Henry Ford ed i fratelli Dodge. John e Horace Dodge, tra i primi investitori della Ford Motor Company, ad un certo punto contestarono alla Ford l'inadeguatezza degli utili che stavano percependo in qualità di azionisti.

Henry Ford rispose che stava utilizzando gli utili della società per assumere nuovi dipendenti, diffondere nella comunità i benefici del sistema industriale, aiutare i lavoratori a costruirsi una casa e una vita dignitosa. La lite sfociò in una causa e la Corte Suprema del Michigan decise la controversia a favore dei fratelli Dodge, con la Ford che venne condannata a pagare ai propri azionisti un dividendo altissimo.

Vale la pena di precisare che la vicenda viene qui riportata solo a titolo emblematico, in quanto di fatto la vertenza - a ciò che risulta - si basava su motivazioni più complesse e in una certa misura inconfessabili, con i Dodge e Ford che in quella fase andavano passando da un rapporto di amichevole partnership ad uno di dura concorrenza.

Al punto che il Prof. Marc Hodak, docente alla Business School dell'Università di New York, ebbe a dire: «Il motivo principale per cui viene citato questo caso è che si suppone che Ford voglia fare la cosa giusta per i suoi lavoratori. L'idea che in realtà stesse cercando di spremere i fratelli Dodge è qualcosa che si perde».

Il precedente, tuttavia, torna utile per enfatizzare quanta strada sia stata fatta per arrivare ai nostri giorni.

In modo altrettanto simbolico ed esemplificativo, possiamo assumere come punto di arrivo di questo percorso la data del 19 agosto 2019, quando la Business Roundtable, un think thank di duecento CEO del Nord America, presieduto da Jamie Dimon, numero uno della JP Morgan Chase, ha pubblicato una innovativa ed eclatante dichiarazione programmatica.

I nuovi propositi fondamentali del capitalismo americano, si legge nel documento, sono cinque: i) "Offrire valore ai nostri clienti"; ii) "Investire nei nostri dipendenti"; iii) "Trattare in modo equo ed etico con i nostri fornitori"; iv) "Supportare le comunità in cui lavoriamo"; v) "Generare valore a lungo termine per gli azionisti".

Il valore generato dalle aziende, ribadisce il documento nella sua conclusione, deve arrivare a tutti: "ciascuno dei nostri stakeholder è essenziale. Ci impegniamo a fornire valore a tutti loro, per il futuro successo delle nostre aziende, delle nostre comunità e del nostro Paese".

Questo documento, come noto, è stato ed è oggetto di universale discussione: alcuni lo ritengono una manifestazione di mera facciata, un puro escamotage di cosmesi reputazionale; altri lo qualificano come una vera e propria pietra miliare, un fondamentale momento di svolta dalla portata storica.

Sembra evidente che, a prescindere da qualsiasi ulteriore giudizio, soltanto l'enunciazione di determinati concetti segna una raggiunta consapevolezza, da parte del mondo delle aziende, delle cruciali funzioni che esse sono chiamate a svolgere e delle grandi responsabilità che sono tenute ad assumere nella società contemporanea.

Il Coronavirus, dunque, condanna la società all'Innovazione, rende necessaria una sorta di nuovo design della realtà, nel segno della Sostenibilità e della Circolarità, con l'Impresa quale stakeholder di decisiva importanza.

Un simile scenario, come dicevamo, vede l'Italia nella posizione di poter svolgere un ruolo da leader. I processi innovativi che occorre innescare, infatti, richiedono un retroterra culturale particolarmente solido e profondo, tale da rendere possibili visioni di estrema lungimiranza e soluzioni realmente disruptive.

Ebbene, è incontrovertibile che il nostro Paese - al netto di tutti i suoi problemi di carattere economico, organizzativo e infrastrutturale - rappresenta nel mondo una eccellenza per il proprio patrimonio e la propria forza dal punto di vista artistico e culturale.

Antonio Calabrò, commentando i «rapporti tra l'industria italiana e la cultura umanistica e scientifica», parla di un «Umanesimo Industriale», che «vive e cresce nei rapporti tra tecnologi e filosofi, scienziati e artisti, architetti e scrittori, in un rapporto spesso dialettico, sicuramente ancora creativo. Non si spiegherebbe, d'altronde, la resiliente competitività della migliore impresa italiana, se questi rapporti non fossero d'attualità» (Il Sole 24 Ore, 29 marzo 2019).

L'Italia è anche una realtà molto peculiare ed interessante dal punto di vista della creazione e della gestione dell'Innovazione a livello aziendale.

Il nostro Stivale, è risaputo, vede la presenza di pochi grandi gruppi industriali, mentre si caratterizza per una ampia e capillare diffusione di medie aziende di una specifica tipologia, che contraddistingue in maniera qualificante il nostro tessuto produttivo.

Si tratta di quelle che usualmente vengono dette Multinazionali Tascabili e che personalmente preferisco definire Imprese Innovazionali, in quanto nell'aggettivo "tascabile" avverto una qualche componente dispregiativa: parliamo di medie imprese, che competono con successo sui mercati internazionali, solitamente contro competitor di gran lunga più grandi, caratterizzate da una forte carica innovativa e da un reale radicamento sul territorio.

Questo significa che in Italia l'Innovazione non è concentrata all'interno di pochi grandi gruppi, blindata tra le pareti di un ristretto numero di società multinazionali, ma si trova diffusa in maniera capillare sui territori, in coerenza con i requisiti di condivisone e collettività richiesti dalle dinamiche dello sviluppo più avanzato.

Il nostro Paese, poi, non da oggi si confronta con il ruolo dell'Impresa nell'ambito del Sociale, come testimonia l'esperienza della scuola italiana di economia aziendale del Novecento, uno dei cui maggiori esponenti ebbe - già nei primi decenni del secolo - a definire l'impresa quale «Coordinazione economica in atto, istituita e retta per il soddisfacimento dei bisogni umani» (Gino Zappa, Tendenze nuove negli studi di ragioneria, 1927).

Un luminoso punto di riferimento è dato dalla figura di Adriano Olivetti, che anticipò molte delle dinamiche attuali in modo a tratti davvero sorprendente, dicendo tra l'altro, quando il Novecento era ancora al suo giro di boa: «Il tentativo sociale della fabbrica di Ivrea, tentativo che non esito a dire ancor del tutto incompiuto, risponde a una semplice idea: creare un'impresa di tipo nuovo al di là del socialismo e del capitalismo giacchè i tempi avvertono con urgenza che nelle forme estreme in cui i due termini della questione sociale sono posti, l'uno contro l'altro, non riescono a risolvere i problemi dell'uomo e della società moderna».

E «la nostra società crede perciò nei valori spirituali, nei valori della scienza, crede nei valori dell'arte, crede nei valori della cultura, crede, infine, che gli ideali di giustizia non possano essere estraniati dalle contese ancora ineliminate tra capitale e lavoro. Crede soprattutto nell'uomo, nella sua fiamma divina, nella sua possibilità di elevazione e di riscatto» (Dal discorso pronunciato per l'inaugurazione dello Stabilimento Olivetti di Pozzuoli, 23 aprile 1955).

Francesco Caio, venendo ai giorni nostri, afferma con convinzione che «su svolta etica e profitti l'Italia è già un laboratorio», «noi italiani, per storia e ambiente, abbiamo una marcia in più nel valore sociale di impresa. Possiamo giocarcela alla pari con tutti. Se solo riusciamo a usare il nostro capitale umano e gli asset che hanno fatto grande il nostro Paese» (Il Sole 24 Ore, intervista di Riccardo Barlaam, 22 agosto 2019).

L'Italia, dunque, patria ideale per dare impulso alla fase di cambiamento resa improcrastinabile dal Coronavirus e porsi in questo delicato frangente in posizione di leadership su scala internazionale, sulla scorta del suo unico ed irripetibile patrimonio di Cultura, in virtù dei propri assolutamente peculiari e capillarmente diffusi giacimenti di Innovazione, grazie alle eredità tramandateci in termini di visione del Futuro e del Mondo.

Malgrado i problemi, le preoccupazioni, le paure del momento, dunque, dobbiamo alimentare quotidianamente la nostra azione con fiducia e con coraggio, nella consapevolezza che il nostro Paese - pur tenendo conto di tutti i suoi limiti - ha le caratteristiche e le potenzialità per affrontare con successo le difficili sfide che ci troviamo dinanzi.

Potrà anche essere considerato un luogo comune, una mera mozione degli affetti, ma personalmente credo davvero che un altro elemento per guardare al domani con convinzione e con speranza risieda nello spirito del popolo italiano, che nei momenti cruciali è stato spesso capace di reazioni sorprendenti e di recuperi inaspettati.

D'altronde, per concludere senza cadere nella retorica più bieca, diceva Giovannino Guareschi: «Gli italiani, se ci si mettono di picca, non muoiono neanche se li ammazzano».