IL COMMISSARIO

Francesco Picca


Non c'è cosa peggiore che sottrarre un uomo al proprio ruolo naturale, distrarlo dalla cura di ciò che sa fare meglio, strapparlo al contesto che più necessita della sua competenza. La sanità calabrese è al collasso. È stata svuotata, spogliata, saccheggiata, devastata; esige un ottimo amministratore (chiamiamolo pure burocrate) che sappia gestire al meglio le procedure ordinarie, non l'emergenza. Qualunque "commissario", qualunque amministratore "straordinario", a dispetto del titolo roboante non fa altro che provvedere alla sussistenza, gestendo quel poco che ha, senza sprechi e senza programmi a lungo termine, perché non ha risorse, perché non ha margini di operatività progettuale. Pensare all'emergenza e agire in emergenza è diventata per tanti una inflessione culturale, un vizio civico, una trappola mortale per qualunque residua possibilità di riaccreditarsi alla normalità. La Calabria, tutta, ha bisogno soltanto di onesta normalità. Non me ne vogliano gli amici calabresi, ma è opportuno che Gino Strada continui a gestire l'emergenza in terre di frontiera, tra gli ultimi, suturando i continui strappi tra la nostra inadeguatezza e il resto del mondo. Ridurre la Calabria ad una terra di frontiera soltanto per giustificare la nomina politica di un chirurgo da campo è un'operazione che include un amaro fallimento: l'ennesimo mancato riscatto di una intera comunità. Attorno al nome di Gino Strada si è scatenato il peggio della retorica politica peninsulare e sulla sua presunta nomina hanno messo il capello orde di maneggioni vecchi e nuovi pronti a raccogliere i frutti di una scommessa azzardata. Il "personaggio Strada" è diventato merce di scambio, materia di scontro, leva psicologica per assicurarsi la quota settimanale di consenso. Il tutto a discapito dell'uomo, di quel chirurgo risoluto e un po' scorbutico che è solito commentare le piccolezze della politica nostrana e di quella internazionale con parole devastanti come una scheggia di granata. Il medico lombardo è tirato per la giacca, conteso come una star, ambito come un trofeo. In attesa di una conferma o di una smentita, il Paese si è spaccato nei soliti due schieramenti che abitualmente si accapigliano nei contenitori social a colpi di insulti, di raccolte firme e di mobilitazioni virtuali. Personalmente non riesco a capire come potrebbe, Gino Strada, scavalcare le prerogative di legge del suo eventuale mandato e scardinare, da solo, un sistema che necessita di numerosi altri interventi. Ritengo invece fondamentale che la società civile calabrese spinga in direzione di uno smarcamento deciso, profondo ma graduale da quel malcostume politico e culturale che ha generato questa e altre situazioni emergenziali. La gente di Calabria deve riprendere possesso di quel senso del diritto e dei diritti che sottende a qualunque progetto duraturo di civiltà, e deve farlo con le proprie gambe. La Calabria è una terra complessa, ma questa sua complessità è una risorsa. In Calabria è complicato muoversi e spostarsi, ma è facile essere accolti e ospitati. Il calabrese è tanto chiuso e diffidente quanto irrimediabilmente generoso. Il "modello Riace" ne rappresenta una testimonianza concreta, reale, ancora viva nonostante gli sgambetti istituzionali e i continui sabotaggi politico-mafiosi. L'istituzione giudiziaria sta sgretolando quel plinto cementato ai piedi di una "idea" grandiosamente vincente, così come il sostegno trasversale di donne e uomini abitanti ogni angolo del pianeta sta rianimando un corpo erroneamente creduto morto Il borgo si sta pian piano ravvivando e le voci dei bimbi, declinate in mille idiomi, stanno soppiattando il raglio stridulo dell'abusivismo politico. L'artefice di questo sogno tanto semplice quanto invincibile è un calabrese della Locride.